Göbekli Tepe - Comparsa, evoluzione e distruzione di una civiltà evoluta.
Rubrica di Storia e Antiche Civiltà
di Sabrina Mainolfi
La più grande scoperta archeologica di tutti i tempi.
Siamo nel 1994, quando un uomo anziano di nome Savak Yildiz denuncia il ritrovamento di alcune vecchie pietre sopra una collina a circa 18 km a nordest dalla città di Şanlıurfa (Urfa) nell'odierna Turchia. Ci troviamo presso il confine con la Siria tra la catena del Tauro e il Karaca Dağ e la valle dove si trova la città biblica di Harran. La notizia fa muovere il museo della città che sollecita una verifica in loco, contattando l’archeologo tedesco Klaus Schmidt (che in quel momento stava lavorando in alcuni siti neolitici più a nord). Lo stesso incuriosito da una relazione, del 1960, dell’archeologo Peter Benedict decide di recarsi sulla collina per un sopralluogo.
Scrive Schmidt: “Ci fermammo – da nessuna parte la benché minima traccia di archeologia, solo le impronte delle greggi di pecore e capre che giorno dopo giorno vengono condotte a questi magri pascoli.”
Così si presentava l’altipiano calcareo agli occhi dell’archeologo, quando all’improvviso apparve un albero isolato, sulla cima più alta del colle che individuava chiaramente uno Ziyaret, (luogo visitato o meta del pellegrinaggio). Si tratta per lo più di piccoli monti su cui cresce un solo albero, visitato dalla popolazione del luogo, per lasciare ai rami e al vento i propri desideri.
A quel punto Schmidt fu certo di aver trovato il sito denunciato da Savak, classificato, successivamente, con il nome di Göbekli Tepe (collina panciuta).
Con l’inizio degli scavi Schmidt comprese immediatamente che i bianchi megaliti affioranti non erano delle semplici lapidi tombali d’epoca medievale, così come riportato nella relazione di Benedict, ma bensì degli imponenti pilastri a forma di T d’epoca neolitica.
Göbekli Tepe si presenta agli occhi di Schmidt come un gigantesco sito neolitico, sebbene a seguito degli scavi, verrà alla luce un luogo di culto altamente complesso con un’architettura monumentale che poco si adatta con il quadro che ci si era fatti di questa fase di sviluppo dell’umanità.
È l'inizio di una delle più grandi scoperte archeologiche di tutti i tempi, Göbekli Tepe ha modificato profondamente la nostra comprensione del modo in cui si è prodotta la rivoluzione neolitica.
Klaus Schmidt si dedicò agli scavi fino alla sua morte, avvenuta nel 2014.
La città di Urfa e l’Alta Mesopotamia
La città di Urfa e la regione circostante sono poco conosciute ai turisti che si recano a visitare la Turchia, ma Urfa era nell’antichità una città importantissima.
La città di Urfa era conosciuta nel medioevo con il nome di Edessa, ma la popolazione locale preferiva chiamarla Ruha o Orhai, più tardi Orfa o Urfa, denominazioni che riportano a lingue più antiche rispetto al greco Edessa. Oggi la città prende il nome di Şanlıurfa (famosa Urfa).
“Orfa è pur sempre una grande e bella città edificata interamente in pietra, con mura di cinta e un castello eretto su un monte in posizione dominante…Nelle chiare acque guizzano innumerevoli carpe che nessuno tocca perché sono sacre e tutti coloro che se ne cibano diventano ciechi” (Helmut von Moltke, lettere sugli avvenimenti e sulle condizioni della Turchia, 1850).
Şanlıurfa è anche la "città dei profeti", centro spirituale e meta di pellegrinaggio. Il luogo è legato alla memoria dei profeti Giobbe e Abramo. È qui secondo la tradizione islamica che sarebbe nato Abramo. Di notevole importanza il museo della città che racchiude alcuni dei reperti archeologici più antichi al mondo, provenienti dalle zone limitrofe, dove archeologici di tutto il pianeta sono presenti negli scavi.
La città è caratterizzata da un’atmosfera decisamente mediorientale e presenta una grande ricchezza di acqua grazie alle sue sorgenti che rendono Urfa un’oasi vera e propria.
Urfa giace ai confini della piovosa regione montuosa del Tauro, dove viene collocato il territorio marginale della mezzaluna fertile denominata Alta Mesopotamia. Con Alta Mesopotamia si intende il territorio montuoso tra l’Eufrate e il Tigri nel sud-est della Turchia, dove si raccorda con la piana medio-mesopotamica. L’Alta Mesopotamia si estende quindi ad est fino ai monti Zagros, a ovest fino alla fossa di Maras. L’ Alta Mesopotamia corrisponde ai territori a nord della Mesopotamia storica, Assiria e Babilonia.
L’alta Mesopotamia è rimasta nascosta agli archeologi, sino a quando con le riforme di Atatürk non si incominciò a scavare anche in Turchia, considerata per molto tempo una zona in un certo senso di secondo rango rispetto al processo di neolitizzazione.
La stessa Göbekli Tepe, nonostante la vicinanza alla città di Urfa e la presenza nella lista di Benedict dei luoghi che ambivano ad essere riconosciuti come i più antichi al mondo, rimarrà nascosta sino alle esplorazioni di Schmidt del 1994.
Eppure, il corno orientale della “Mezzaluna Fertile” viene descritta da diversi archeologi come una regione di precoce neolitizzazione riferibile al Neolitico Pre-ceramico (PPN).
Si deve inoltre considerare che a nord del sito archeologico di Göbekli Tepe era stato già rinvenuto un altro sito similare Nevalı Çori, dove era stato possibile portare alla luce pilastri a forma di T, pavimentati terrazzati e sculture in calcare, mai rinvenute prima in alcun sito del Neolitico.
Il sito archeologico di Göbekli Tepe
Göbekli Tepe appare ben presto agli occhi degli archeologi come un sito di natura del tutto diversa, da quelli scoperti in Turchia sino ad allora. Göbek significa “ombelico” o “ventre”. Göbekli Tepe può essere tradotto con la “montagna panciuta”
“La posizione così centrale nel paesaggio circostante, il rinvenimento di motivi iconografici imperniati su pericolosi animali selvatici, la figura con pene eretto (la protome itifallica) e le rappresentazioni di animali e teste umane, i pezzi di pilastri disseminati ovunque sulla sommità del colle, così come il sospetto dell’esistenza di complesse strutture architettoniche ci rendono già allora chiara una cosa: Göbekli Tepe non era un insediamento dell’età della pietra come tutti gli altri…” (Schmidt, 2011).
Per la prima volta veniva ritrovato un sito di tipo religioso appartenente apparentemente al periodo Neolitico Pre-ceramico A. I resti presenti negli strati più antichi possono essere datati tra IX e il X millennio a.C.
Oggi il sito si presenta con più recinti classificati con le lettere A, B, C, D, E, F e G con sculture/incisioni di vari animali: molti serpenti (vanno dall’alto verso il basso) / volpi/ cinghiali / gru / uru (toro selvatico) / pecora selvatica / asino selvatico asiatico / gazzella / leone / altri non identificati.
I primi quattro recinti prendono il nome dalle rappresentazioni iconografiche li presenti: A recinto del serpente; B recinto della volpe; C recinto del cinghiale; D recinto dello zoo dell’età della pietra, dove sono presenti due importanti pilatri la stele dell’avvoltoio e la stele della Gru. Secondo alcune teorie questi recinti sarebbero direzionati verso la stella Deneb della costellazione del Cigno che attraversa la via Lattea, dove secondo antiche tradizioni sarebbe stata la porta di passaggio tra il mondo dei vivi e il mondo dei morti.
Ogni recinto è caratterizzato da strutture circolari larghe dai 10 ai 30 metri, formate da due grandi monoliti centrali a forma di T, sino a 7 metri di altezza, scavati nella roccia calcarea, con altri pilastri a forma di T di circa 3 metri. Un muro circolare di pietra e una porta, (forse una copertura in legno).
I ritrovamenti di numerosi pilastri a forma di T alti anche sino a 7 metri e larghi 3 suggeriscono che la società di coloro che li ha realizzati fosse in grado di mobilitare e organizzare grandi masse di persone. Gli uomini di Göbekli scolpivano la pietra calcarea con dei semplici utensili di selce scheggiata ma con una straordinaria abilità raffigurando il mondo che vedevano dinanzi ai loro occhi di cacciatori-raccoglitori, un mondo che assomigliava a un antico Paradiso Perduto ricco di flora e fauna di cui l’uomo era parte integrante.
"Allora il Signore Dio plasmò dal suolo ogni sorta di bestie selvatiche e tutti gli uccelli del cielo e li condusse all'uomo, per vedere come li avrebbe chiamati: in qualunque modo l'uomo avesse chiamato ognuno degli esseri viventi, quello doveva essere il suo nome." (Gen. 2:19.)
Secondo Schmidt Göbekli Tepe doveva essere stato un grande santuario del Neolitico.
I due pilastri centrali a forma di T vennero interpretati da Schmidt come esseri umani stilizzati a cui venivano scolpiti dei tratti umanoidi, ma l’archeologo tedesco va oltre nella sua interpretazione simbolica ipotizzando in quelle immagini una prima forma di “religione moderna” «penso che qui siamo faccia a faccia con la prima rappresentazione degli dèi. I pilastri non hanno né occhi né bocca ma hanno le armi e le mani. Essi sono quindi responsabili». Un’interpretazione del pilastro come elemento antropomorfo, ovvero dotato di sembianza umane, era già stata data a Nevalı Çori. La domanda che gli archeologi si sono posti è: “Chi incarnavano questi esseri di pietra?”
Per quanto ciascun cerchio megalitico abbia al suo interno questi due imponenti pilasti-umanoidi a forma di T, Schmidt non ha creduto (come ipotizzato da molti colleghi) che questi rappresentassero un uomo e una donna né che il tipo di culto praticato a Göbekli Tepe si avvicinasse ai riti della fertilità ritrovati nelle più tarde comunità vicine. In questo modo l’archeologo tedesco si oppone alla vecchia teoria della Dea-Madre neolitica ipotizzata dal famoso scopritore del sito di Catalhöyük, James Mellaart che ipotizzava per il mondo neolitico un grande culto della fertilità. Per Schmidt in tutte le raffigurazioni portate alla luce non ci sono chiari simboli della fertilità e persino gli animali scolpiti hanno per buona parte chiari tratti maschili, mentre le colonne risultano totalmente asessuate.
Finora è stata portata alla luce solo una parte delle strutture del sito. Le prospezioni mostrano che si estende su nove ettari e che ci sono vari complessi ancora sepolti, forse una cinquantina. Alcuni di essi potrebbero essere più antichi di quelli studiati fino a oggi, precedenti alle prime testimonianze di agricoltura.
Lo studio degli edifici emersi dagli scavi sembra indicare un cambiamento: i più antichi sono formati da blocchi di dimensioni maggiori e con decorazioni più complesse, mentre quelli più recenti sono delimitati da mura rettangolari e le decorazioni sono più semplici. In entrambi i casi furono realizzati con la pietra calcarea proveniente da alcune cave distanti poche centinaia di metri. Considerata la rudimentale tecnologia disponibile all’epoca, il trasporto di blocchi del peso di diverse tonnellate non dovette rivelarsi un’impresa semplice. Un’opera di tale portata necessitava di un’organizzazione collettiva su larga scala, in un’epoca in cui i gruppi umani erano di dimensioni ridotte.
Non sono solo le proporzioni colossali a rendere unico il sito, ma anche il repertorio iconografico. I pilastri sono decorati con incisioni a rilievo di animali selvatici come cinghiali, volpi, tori, uccelli, serpenti e scorpioni.
Klaus Schmidt ha continuato a sostenere che si trattasse di un centro religioso eretto da gruppi di cacciatori-raccoglitori che vi si recavano periodicamente in pellegrinaggio per celebrare un rituale di qualche tipo (simile agli odierni rituali sciamanici). Quest’interpretazione significava mettere in discussione molte idee consolidate. Se gli edifici di Göbekli Tepe fossero stati costruiti da gruppi di cacciatori-raccoglitori, questo implicherebbe che la religione si è sviluppata prima dell’agricoltura. Tutto questo indicherebbe l’esistenza di uno sfondo religioso comune che si sviluppò durante la rivoluzione neolitica e favorì la formazione di gruppi molto più grandi dei semplici nuclei familiari o dei clan. Fu proprio questo orizzonte condiviso che nel X millennio a.C. permise la comparsa, in un angolo dell’Anatolia, di quello che fu probabilmente il primo tempio della storia.
Il giacimento solleva ancora molti interrogativi, per esempio in merito alla causa del suo abbandono. A questo proposito si è ipotizzato che gli edifici venissero interrati ritualmente quando perdevano il loro potenziale magico e, successivamente, se ne costruissero di nuovi. Secondo una teoria più recente l’abbandono non era intenzionale, ma provocato da frane ed erosioni. I templi di Göbekli Tepe non sono un caso isolato. In vari siti anatolici sono state scoperte strutture simili. A Nevalı Çori – insediamento che potrebbe essere sorto in seguito all’abbandono definitivo di Göbekli Tepe – sono stati trovati dei pilastri a forma di T. Il repertorio iconografico di Göbekli Tepe ricorre poi nelle sculture di serpenti e cinghiali di Nevalı Çori (attualmente il sito è sommerso dal lago artificiale creato con la costruzione della diga) o nelle figure di avvoltoi di Nahal Hemar (Israele) e Gerico (Cisgiordania). Inoltre, dobbiamo citare Karahan Tepe, sito archeologico nella provincia di Şanlıurfa in Turchia, dove recenti esami e rilievi suggeriscono che potrebbe essere più antico dei ritrovamenti di Göbekli Tepe. Il sito dista circa 40 km da Göbekli Tepe e anche qui gli archeologi hanno ritrovato megaliti a forma di T, pesanti varie tonnellate. Come citato da una pubblicazione turca non specializzata, il sito "gemello" di Göbekli Tepe apparentemente sarebbe più antico di Göbekli Tepe, forse antecedente al X millennio a.C.
Come si presentava il pianeta 12.000 anni fa
Immaginiamo il pianeta nel mezzo dell’ultima deglaciazione caratterizzato da una rapidissima risalita del livello del mare a livello globale, avvenuta tra 20.000 e 12.000 anni fa, che segna la fine dell’ultima epoca glaciale, qualcosa di simile al diluvio universale.
In un arco di tempo relativamente breve e per cause non del tutto chiare, la temperatura del pianeta è cresciuta, rapidamente, e i ghiacci hanno iniziato a fondersi. Era la fine dell'ultimo periodo glaciale, iniziato nel Pleistocene, circa 110.000 anni fa, e terminato appunto poco meno di 10.000 anni fa.
“Il diluvio durò sulla terra quaranta giorni: le acque crebbero e sollevarono l’arca che si innalzò sulla terra. Le acque divennero poderose e crebbero molto sopra la terra e l’arca galleggiava sulle acque. Le acque si innalzarono sempre più sopra la terra…” (La Sacra Bibbia, Genesi 6-8).
Il racconto del Diluvio fa parte della mitologia di diverse culture del Vicino Oriente e rappresenta il frutto di memorie che vennero tramandate oralmente di padre in figlio per lungo tempo, a riguardo di quello che potremmo senza dubbio definire un “evento climatico” estremo.
Un evento improvviso sconvolge il pianeta terra da 12.9 e 11.7 mila anni fa, e si assistette a quello che oggi viene chiamato lo Younger Dryas. Uno dei periodi più intensamente studiati del clima passato caratterizzato da una terrificante variazione climatica. Lo Younger Dryas risulta l’evento terminale dell’ultima glaciazione e si presenta come una riorganizzazione delle correnti oceaniche profonde, una rapida estensione del ghiaccio marino, uno spostamento verso sud della fascia dei venti occidentali, un forte indebolimento dei monsoni delle fasce tropicali e un clima molto simile all’inverno siberiano in tutto il Nord Atlantico, in Europa e Nord America.
Per quanto riguarda l’essere umano, durante l’ultima glaciazione (Glaciazione di Würm), l’uomo di Neanderthal si era estinto e i membri della specie, l’Homo sapiens, colonizzarono il vasto territorio muovendosi in base ai cambiamenti climatici.
La storia di Göbekli Tepe
Prima ci furono le divinità
Questa teoria parte dall’analisi dei due pilastri centrali a forma di T all’interno del recinto D.
In questi pilastri vengono raffigurate due figure con cintura e una collana al corrispettivo del collo. Sono figure senza volto. Alcune teorie (progetto Cassandra) sostengono che le due figure, indosserebbero un perizoma, e difficilmente potrebbero essere ricollocate ad esseri umani viventi al tempo della datazione di Gobekli Tepe ovvero circa 12.000 anni fa, in quanto a quei tempi ci trovavamo di fronte alla parte finale della glaciazione e uomini in perizoma difficilmente si sarebbero potuti vedere. Dovremmo ritornare indietro di un bel po’ di anni a prima dell’inizio dell’ultima glaciazione Würm ovvero circa 115000 anni fa. La teoria fa riferimento alla rappresentazione di esseri di rango elevato provenienti da altri mondi, dove la collana (con il disegno di un Uro) e la cintura e con tutti i vari simboli (simile a lettere) potrebbe indicare il rango e la provenienza degli esseri di luce.
Lo stesso Schmidt dichiarò, in una delle sue interviste, che i due blocchi giganti con caratteristiche antropomorfe non raffiguravano esseri umani. Il perché della mancanza di un volto può essere ricondotto secondo Schmidt al fatto che fossero divinità e provenissero dallo spazio, tale teoria potrebbe essere rafforzata anche dal fatto che nella stessa bibbia figure (viste come divine) vengono spesso descritte con un fascio di luce sul volto tale da impedirne la visione.
Poi ci fu la creazione del paradiso terrestre
La giornalista investigativa Linda Moulton Howe, analizzando i singolari manufatti di Göbekli Tepe, comparati con altre testimonianze iconografiche, soprattutto dei Nativi americani, si spinge ad ipotizzare che essi alludano alla procreazione di uomini per opera di esseri divini. In particolare, la Moulton Howe rimane colpita da un’opera custodita nel museo di Urfa (Turchia): una sorta di totem alto otto piedi con una testa non umana e priva di volto. Ai lati sono scalpellati dei serpenti: questa inquietante creatura sembra essere descritta mentre è in procinto di dare alla luce un bambino umano.
Scultura totemica in calcare, oggi nel museo di Şanlıurfa.
Nella ricerca sull’origine delle più antiche culture sedentarie, si è ipotizzato che il territorio dell’attuale golfo -persico-arabico dovesse essere considerato la patria originaria della civiltà che aveva vissuto nel perduto giardino dell’Eden (termine sumerico per indicare deserto/steppa o terrazza).
In effetti, il quadro del mondo neolitico del Vicino Oriente risulta più avanti rispetto al neolitico del mondo, ovvero gli abitanti di queste latitudini elaborarono le prime forme di agricoltura e di allevamento e le loro case erano adornate da oggetti di culto che possiamo definire opere d’arte.
Andrew Collins ha suggerito che la posizione effettiva dell’Eden potesse essere localizzata nell’alta Mesopotamia, ovvero nella parte est della Turchia di oggi, corrispondente alla Grande Armenia.
Andrew Collins svela il ruolo fondamentale di Göbekli Tepe nell'ascesa della civiltà, Collins mostra come questo luogo sia collegato alla creazione dell'umanità nel Giardino dell'Eden e ai segreti che Adamo trasmise a suo figlio Seth, il fondatore di una razza angelica chiamata Sethiti. Nella sua ricerca della leggendaria Grotta dei Tesori di Adamo, l'autore scopre il Giardino dell'Eden e i resti dell'Albero della Vita, nella stessa regione sacra in cui oggi viene scoperto Göbekli Tepe.
Quindi dov'era l'Eden?
Tutto quello che sappiamo è che era situato tra i Sette Cieli, un reame con giardini, orti e osservatori in cui risiedevano gli angeli e i Vigilanti, secondo il Libro di Enoch. Il temine antico greco (parádeisos) è correlato all'attestato antico iranico, precisamente avestico, pairidaēza, dove tuttavia non possiede alcun significato religioso, indicando il "recinto", derivando in quella lingua da pairidaēz (murare intorno, circondare con mura). La credenza in un primordiale luogo paradisiaco attiene, originariamente, alla letteratura religiosa in lingua sumerica, segnatamente al testo in 284 versi, indicato sotto il nome di Enki e Ninḫursaĝa (inizi II millennio a.C.), la quale individuava nel Dilmun quel posto privo di sofferenze, di privazioni e di affanni.
È possibile quindi che l’Eden fosse un’area recintata agricola e con animali, dove l’uomo viveva nell’amore, nella gioia e in assenza di sofferenza, controllato dai Vigilanti.
Secondo il libro della Genesi, come anche secondo molti resti apocrifi di origine ebraica, cristiana e musulmana, il Giardino dell’Eden era irrigato da un unico ruscello che nasceva da una sorgente o fontana che si alimentava dalla base dell'albero della vita. Dopo essere uscito dal giardino, il torrente si divideva poi in quattro capi che diventavano le sorgenti di quattro grandi fiumi, ognuno dei quali è nominato e descritto nel libro della Genesi.
Un fiume usciva da Eden per irrigare il giardino, poi di lì si divideva e formava quattro corsi.Il primo fiume si chiama Pison: esso scorre intorno a tutto il paese di Avìla, dove c'è l'oro e l'oro di quella terra è fine; qui c'è anche la resina odorosa e la pietra d'ònice. Il secondo fiume si chiama Ghicon: esso scorre intorno a tutto il paese di Cush. Il terzo fiume si chiama Hiddakel: esso scorre ad oriente di Assur. Il quarto fiume è l'Eufrate (Gen. 2:10-14)
l giardino dell'Eden in un dipinto di Johann Wenzel Peter conservato alla Pinacoteca vaticana (1800-1829).
Per ipotizzare una sua collocazione geografica, facciamo riferimento ai 4 fiumi elencati nella Genesi e ad una loro posizione nell’odierna mappa geografica. I loro nomi sono Pison, Ghicon, Hiddakel ed Eufrate.
L’ultimo fiume è riconoscibile, e può aiutarci nel riconoscere gli altri tre. Si tratta dell'Eufrate che nasce nell'Armenia con due rami, il Kara nella regione di Erzerum e il Murat a nord del lago di Van, che si riuniscono a monte di Keban. A 150 km dalla foce confluisce con il Tigri, formando lo Shatt al Arab che sfocia con un vasto delta, all'estremità settentrionale del Golfo Arabico.
L’altro fiume facile da individuare è l’Hiddakel che scorre ad est di Assur, ovvero Assiria, dove oggi è il nord dell’Iraq e quindi stiamo citando l’attuale Tigri (originariamente chiamato Hiddakal (dall’Accadico id idikla). L’Eufrate e il Tigri viaggiano paralleli per un lungo percorso, si piegano l’uno verso l’altro nei pressi di Baghdad, vicino all’antico sito di Babilonia, sino ad unirsi prima di sfociare nel Golfo persico.
Quindi il Paradiso, secondo quanto scritto nella Genesi non può che trovarsi dove questi fiumi nascono, ovvero nella parte est del Tauro. La teoria più probabile è che l’Eden era situato alla fonte dei quattro fiumi, ovvero nella moderna Turchia dell’est.
Per identificare il Ghicon, partiamo dal fatto che scorre intorno alla terra di Cush. Per molti Cush sarebbe il nome antico di Etiopia, ma per Collins si tratterebbe di un antico regno presente nelle iscrizioni assire e chiamato Kusu. Rifacendosi ad un testo dell’assiriologo inglese George Smith, “The Chaldean Account of Genesis” del 1876, il padre di Nimrod, il costruttore della Torre di Babele, è chiamato Cush, proprio in ricordo della terra di Kusu, da dove provenivano i cavalli Kusai. Secondo una leggenda armena Nimrod avrebbe gettato il Patriarca Abramo in una fornace ardente perché non si sarebbe inchinato davanti agli idoli pagani e questo sarebbe avvenuto nell’antica città di Edessa, la moderna Şanlıurfa. Con grande probabilità la terra di Kusu si riferisce all’altopiano armeno appartenente alla Grande Armenia, attualmente territorio turco e il fiume Ghicon può coincidere con il moderno Aras che nasce dal Monte Bingöl. L’ultimo fiume è il Pison “esso scorre intorno a tutto il paese di Avìla, dove c'è l'oro e l'oro di quella terra è fine; qui c'è anche la resina odorosa e la pietra d'ònice”.
Anche la Chiesa Armena conferma il Tigri e l'Eufrate come due dei quattro fiumi del Paradiso e associano gli altri due, il Pison e il Ghicon, rispettivamente con il Grande Zab, che sgorga nel Curdistan turco per poi confluire nel Tigri, e il fiume Arasse, che ha le sue sorgenti nella zona di confine tra Turchia e Armenia e poi sfocia nel Mar Caspio. Sebbene alcune teorie riportate in un testo del 1870 del cartografo Wilhelm Strecker facciano coincidere il Pison con il Peri Su e quindi, in questo modo, tutti e quattro i fiumi nascerebbero dal Monte Bingöl.
Il professor David Rohl, un famoso archeologo inglese, dopo anni di studi, scavi e ricerche, ha affermato che il Giardino dell’Eden era situato in una valle vicina all’odierna Tabriz, nel nord dell’Iran, sull’altopiano a ovest del lago di Urmia. Lo stesso studioso, autore di un libro dal titolo esplicativo” La Genesi aveva ragione”, sostiene che quanto viene raccontato nella Genesi è molto attendibile dal punto di vista storico e geografico. Dunque, anche per Rohl il giardino dell’Eden sorgeva nell’antica Armenia, attorno ai bacini del lago Van e del lago Urmia, nella stessa regione dove si eleva il monte Ararat, sul quale l’arca di Noè si andò a fermare alla fine del Diluvio universale.
La mitologia dei sumeri e dei loro successivi conquistatori, gli accadi, situava la patria degli dèi esattamente nella stessa regione. Nella loro letteratura religiosa questa dimora divina viene chiamata Kur, la montagna celeste. In quel luogo gli dèi, chiamati Anannage, o Anunnaki, vivevano in un reame paradisiaco fatto di giardini, orti, templi e campi irrigati che non solo ricorda i Sette Cieli descritti nel Libro di Enoch, ma viene anche indicato in più di un'occasione come edin, la parola accadica per "steppa" o "altopiano".
E alla fine ci fu la distruzione
I ricercatori Martin Sweatman e Dimitrios Tsikritsis, della Facoltà di Ingegneria dell’Università di Edimburgo, sostengono che le incisioni trovate a Göbekli Tepe sono la prova che fu una cometa ad innescare l’ultimo periodo glaciale della Terra, e che i simboli raffigurati nei pilastri del sito siano legati a conoscenze astronomiche. Confrontando l’evento con simulazioni al computer, che ricostruiscono l’aspetto del sistema solare in quel periodo, hanno tradotto i simboli custoditi a Göbekli Tepe. Le incisioni raccontano la storia di un devastante impatto con una cometa, avvenuto nel 10.950 a.C., all’incirca nello stesso periodo in cui è iniziato lo “Younger Dryas”. La traduzione dei simboli suggerisce che Göbekli Tepe non era solo un tempio, ma anche un antico osservatorio astronomico.
Nel pilastro 43 dell’Area D (la stele dell’avvoltoio), incorporato nel nord-ovest del recinto possiamo osservare una grande figura che sembra essere la testa e il collo di un uccello, forse un'anatra, un'oca o un cigno. Sopra questo, c'è la chiara rappresentazione di uno scorpione. Sopra lo scorpione sembra esserci la figura di un altro uccello, questa volta con le ali spiegate. Il becco ricurvo verso il basso dà la chiara impressione di un avvoltoio o di un'aquila in volo, con l'ala sinistra sollevata quasi verticalmente e l'ala destra tenuta orizzontalmente. A destra dell'avvoltoio/aquila volante appare la figura di un altro uccello, questa volta somigliante a una gru o a un fenicottero e piegato nel mezzo a formare un angolo ottuso. A destra di quest'ultimo uccello c'è un serpente o un pesce che si dimena verso il basso con una grande testa. Sotto la gru/fenicottero e il serpente/pesce possiamo vedere una forma piuttosto tozza simile a un uccello. A sinistra dello scorpione e dell'uccello dal collo lungo possiamo appena distinguere la testa e le zampe anteriori forse di un cane o un lupo. Infine, nella parte inferiore del pilastro c'è la sagoma di un omino senza testa, mentre a destra del "serpente/pesce che si dimena verso il basso" ci sono due simboli "H" o "I" astratti.
Lo studio suggerisce che l'avvoltoio/aquila sul pilastro 43 possa essere interpretato come l'asterismo della "teiera" della nozione odierna di Sagittario; l'angolo tra la testa e le ali dell'aquila/avvoltoio, in particolare, ben si accorda con il "manico", il "coperchio" e il "beccuccio" dell'asterismo della teiera. Inoltre, l’“uccello piegato" con un serpente o un pesce che si dimena verso il basso possa essere interpretato come il "13° segno dello zodiaco", cioè della nostra attuale nozione di Ofiuco. Sebbene la sua posizione non sia molto precisa a causa dei vincoli dalla forma del pilastro. Questi simboli sono una corrispondenza ragionevolmente buona con le loro corrispettive costellazioni.
La Bilancia che può essere vista come un uccello che nuota o fluttua, con il collo eretto e la coda all'insù. Si potrebbe obiettare che la forma della scultura dell'uccello dal collo lungo non si adatta esattamente alla costellazione della Bilancia in termini di posizione delle stelle corrispondenti. Tuttavia, questo simbolo rimane in parte oscurato, ed inoltre è possibile che gli artisti del Pilastro 43 non intendessero raffigurare un'accurata mappa stellare del cielo, piuttosto la loro intenzione era forse quella di fornire una rappresentazione simbolica dell'ordine e il posizionamento approssimativo delle costellazioni come lo vedevano, sufficiente per consentire l'interpretazione del pilastro 43.
Quindi, la figura a sinistra della Bilancia, se la teoria fosse corretta, questa dovrebbe corrispondere a “Lupus” il lupo. E in effetti, questa figura è una buona rappresentazione di un cane o di un lupo, sebbene attualmente siano visibili solo la testa e le zampe anteriori.
Inoltre, i due ricercatori suggeriscono che il cerchio scolpito al centro possa essere interpretato come il sole e che il pilastro sta comunicando una data, ovvero è un "timbro della data". Normalmente, l'epoca zodiacale è definita dalla posizione del sole che è in un particolare segno zodiacale all'alba/tramonto in una delle quattro date di buon auspicio nell'anno; l'equinozio di primavera, il solstizio d'estate, l'equinozio d'autunno o il solstizio d'inverno.
Utilizzando lo Stellarium e impostando la località di Şanlıurfa, è facile vedere in che periodo il sole si trova leggermente al di sopra del beccuccio dell'asterismo della teiera del Sagittario, cioè quando il cerchio-sole è appena sopra l'ala destra dell'avvoltoio rispetto alle quattro date sopra indicate (con un errore di circa ± 250 anni):
2.000 d.C. – Solstizio d'inverno;
4.350 aC - Equinozio d'autunno;
10.950 aC - Solstizio d'estate;
18.000 aC - Equinozio di primavera.
Göbekli Tepe è un sito antico e possiamo certamente escludere il 2000 d.C. Data la data stabilita al radiocarbonio possiamo anche escludere il 4.350 a C. Delle restanti due date, la data di gran lunga più vicina alla data al radiocarbonio è 10.950 a C, basata sul solstizio d'estate e suggerita dai due ricercatori quale la più probabile. Quando si tiene conto dell'incertezza nella stima della data, prendiamo in considerazione quella in stima con la data del proposto evento YD, 10.890 a C (Petaev et.al., 2013).
Infine, l'omino senza testa in basso; indica probabilmente il giorno peggiore della storia umana dalla fine dell'era glaciale; l'ipotetica catastrofe YD.
«Le incisioni sembrano un messaggio lasciato nei millenni dal popolo di Göbekli Tepe, il che indica che l’evento che descrivono potrebbe avere avuto un impatto duraturo sulla civiltà e che è stato impresso sulla pietra come una memoria collettiva e un monito per il futuro», hanno sottolineato i due ricercatori.
Considerazioni conclusive
Come è stato possibile il realizzarsi di un’opera architettonica quale Göbekli Tepe da parte di una società che viveva in piccoli gruppi in un’economia di stretta sussistenza basata sulla caccia e sul raccolto occasionale?
Schmidt tenta di rispondere frantumando questo schema evolutivo «I blocchi di calcare dei pilastri (il cui peso varia dalle 40 alle 60 tonnellate) sono stati estratti e scolpiti da migliaia di persone che non conoscevano ancora la ruota né la ceramica o i metalli, ma non avevano inventato nemmeno l’agricoltura o l’allevamento», questa evidenza dei fatti risulta inconciliabile con la visione classica dei cacciatori-raccoglitori in quanto per un simile compito era necessario un governo centrale in grado di coordinare masse di lavoratori indispensabili per la realizzazione di grandi monumenti.
Secondo quest’ipotesi non sarebbe stata l’agricoltura con il conseguente surplus di cibo a portare gli uomini a una vita sedentaria in gruppi che con il passare dei secoli sono cresciuti ma il desiderio di grandezza nel costruire questi imponenti monumenti a portare questa grande massa d’uomini a scegliere la vita sedentaria.
«Per mantenere le migliaia di persone che costruivano il monumento a un certo punto la caccia non deve essere più bastata» rivela Klaus Schmidt e la sua approfondita conoscenza del territorio della “Mezzaluna fertile” lo porta a formulare una precisa ipotesi sulla nascita dell’agricoltura: «A pochi chilometri da Göbekli Tepe c’è il Monte Karaca Dağ, il luogo in cui sono stati rinvenuti i capostipiti selvatici del grano coltivato. Da quei campi naturali di cereali gli uomini devono aver cominciato a raccogliere i semi, per aver cibo abbondante e facile da conservare. Poi dalla raccolta si è passati alla coltivazione».
Quindi secondo Schmidt gli uomini accomunati nella decisione di erigere Göbekli Tepe hanno modificato il loro status e le loro abitudini diventando sedentari e iniziando così a costruire le loro comunità in quell’antica mezzaluna fertile che è poi diventata la culla di tutte le civiltà.
La teoria di Schimdt seppur innovativa rispetto alla visione classica del periodo neolitico, è mancante di un elemento: come hanno fatto queste popolazioni cacciatori, raccoglitori a divenire in pochissimo tempo costruttori di luoghi complessi dotati di mura e bassorilievi, tali da poter competere con le nostre attuali costruzioni?
Si potrebbe invece ipotizzare che un periodo compreso tra l’inizio e la fine dell’ultima glaciazione, abbia vissuto sul pianeta terra, una civiltà evoluta scientificamente e tecnologicamente, che con molta probabilità ha portato le proprie conoscenze per generare un essere evoluto sia nella coscienza che nel sapere, creando quindi un luogo, localizzato nell’alta Mesopotamia, di sperimentazione per il genere: umano, animale e vegetale. Tale luogo è stato, poi, abbandonato a seguito di una catastrofe causata dai detriti di una cometa.
Nella mitologia sumera esisteva un luogo denominato Du-Ku, una montagna sacra. Qui avrebbero vissuto gli dèi Anuna. Sempre sulla montagna Du-Ku secondo la tradizione si trovava la località di origine della capra e dei cereali, qui vennero inventati elementi essenziali della civilizzazione umana, l’agricoltura e l’allevamento e l’arte della tessitura. Si identifica il monte Du-Ku con il Tauro e lo Zagros.
Se mettiamo insieme il fatto che in questi luoghi sono nati l’agricoltura e l’allevamento e oggi negli stessi luoghi vengono scoperti reperti appartenenti a civiltà sconosciute che rappresentavano i propri dèi su pietre stilizzate, possiamo ipotizzare che tutto questo non sia soltanto un caso.
Fonti: Costruirono i primi templi di Klaus Schmidt GÖBEKLI TEPE - Genesis of the Gods di Andrew Collins DECODING GÖBEKLI TEPE WITH ARCHAEOASTRONOMY: WHAT DOES THE FOX SAY? Martin B. Sweatman and Dimitrios Tsikritsis - Mediterranean Archaeology and Archaeometry, Vol. 17, No 1, (2017). Copertina: Pillars at the temple of Gobëkli Tepe. Photograph by Vincent J Musi/National Geographic Society Immagine dei pilastri: Costruirono I primi templi di Klaus Schmidt e GÖBEKLI TEPE - Genesis of the Gods di Andrew Collins
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