La diplomazia nell'età di Lorenzo Il Magnifico - II Parte
La ricostruzione della Lega italica
Rubrica di Storia e Antiche Civiltà
di Federica Montesion
La ricostruzione delle origini della Lega italica si rende necessaria al fine di comprendere la figura di Lorenzo de Medici quale ago della bilancia della politica italiana di fine secolo, (Guicciardini nell’opera “storia d’Italia”).
La Lega non venne ideata dai contraenti del patto di Lodi, ma bensì da Papa Niccolò V, il quale aveva convocato prima nel 1451 e poi nel 1453 le conferenze diplomatiche dei principali potentati italiani al fine di pervenire a una pace comune e alla creazione di una confederazione.
Tale scelta politica adottata dal Papa è attribuibile, non tanto alla recente alleanza fiorentina-milanese, ma bensì alla figura di Alfonso d’Aragona, il quale, nonostante la riconciliazione con il papato, aveva assunto un atteggiamento sdegnoso verso l’istituzione stessa.
E' necessario sottolineare che Cosimo de Medici si oppose alla proposta del 1451 e ciò comportò l’espulsione dei mercanti fiorentini prima da Venezia e poi da Napoli, provocando così l’avvicinamento formale di Firenze a Milano.
In merito alla politica papale di Niccolò V, lo storico Ryder afferma che quest’ultima manca di uno studio particolareggiato delle conferenze di pace tenute sotto gli auspici papali dal quale emergerebbe una stretta armonia tra le corti di Napoli e Roma al fine di spostare il conflitto lontano dagli stati della chiesa verso il nord Italia.
Certamente questa affermazione del Ryder contiene una parte di verità. Tuttavia, bisogna dire che un’analisi della Lega Italica non può limitarsi a una relazione bilaterale.
Infatti, dobbiamo tener presenti altri due elementi di criticità:
Rapporto del Papato con l’Impero;
La successione al Ducato di Milano.
Per quanto riguarda i rapporti con l’Impero, lo stesso Alfonso in più di una occasione aveva esercitato una forte pressione sulla Chiesa sulla base degli accordi politici e dinastici.
Inoltre, Niccolò V non poteva ignorare che nel 1448 aveva concluso con Federico III il concordato di Vienna ma che da questi non ne derivava un’effettiva sicurezza per il papato.
Per quanto riguarda l’Italia, l’elemento di criticità e di interesse fu la questione della successione al Ducato di Milano dopo l’estinzione dei Visconti con la morte di Filippo Maria nel 1447. Veniva così a scomparire dal panorama italiano uno dei fautori di Basilea, aprendo così un contrasto sulla successione, a cui aspiravano lo stesso Alfonso, Federico III, Carlo duca d'Orléans e Francesco Sforza. Tale questione era di forte interesse per il papato che aveva manifestato di ristabilire i propri domini temporali sulla base di un equilibrio italiano che passava dall’alleanza sia con il Regno di Napoli che con il Ducato di Milano.
Quando nel 1450 Francesco Sforza conquistò Milano ponendo fine alla breve esperienza della Repubblica ambrosiana, il pontefice si affrettò a stabilire dei buoni rapporti con il nuovo signore di Milano, che aveva indirettamente finanziato acquistando nel 1447 la città di Iesi.
Infatti, la prerogativa assoluta per il papato era ritrovare un equilibrio diplomatico italiano tramite una intesa con il Ducato milanese di Francesco Sforza, malgrado l’ostilità di Venezia e dell’Impero.
Ed è proprio in quest’ottica che dobbiamo guardare l’indulto pontificio del 1° aprile 1450.
L'indulto concesso dal pontefice al duca di Milano in materia di benefici costituì in pratica il riconoscimento pontificio dello Sforza, ma non stava a significare una cessione di prerogative in materia di giurisdizione ecclesiastiche, quanto una rivendicazione da parte del papato della riserva su tutti i benefici. Proprio perché l’indulto ribadiva la "plenitudo potestatis" del pontefice e il suo ruolo di "dominus beneficiorum”, non soddisfò completamente lo Sforza, il quale, soltanto grazie ad un'intensa trattativa diplomatica successiva, riuscì a portare una maggiore attenzione verso le necessità e gli equilibri politici interni dello Stato.
Si trattava pertanto, di una sorta di riconoscimento reciproco in cui l’indulto assumeva il carattere di una complicità tutta italiana, nel fatto che eludeva la prerogativa imperiale e le rivendicazioni orleaniste del Re di Francia.
Per completare il quadro dobbiamo poi riferirci alle due principali “repubbliche”: Firenze e Venezia. Vera pietra dello scandalo al tempo della crisi di successione milanese era stata la politica espansionistica veneziana, lesiva dei diritti imperiali e della Chiesa e indifferente agli accordi stabiliti. Non meno problematica era la questione di Firenze: L’espansionismo toscano della repubblica, si era particolarmente rivolto contro gli interessi della Chiesa. L’ostilità era riesplosa dopo il 1443 per il sostegno strategico che il regime di Cosimo aveva accordato a Francesco Sforza.
Nel 1452, il pontefice rimase neutrale di fronte alle guerre che erano riprese per la successione di Milano. Solo nel 1453, sull'onda dell'impressione per la caduta di Costantinopoli, tentò di affrontare con maggiore vigore il problema della pace tra gli Stati italiani. Nella prima metà di settembre di quell'anno, prima dell'indizione della crociata, Niccolò convocò a Roma un congresso di pace. Lentamente arrivarono i rappresentanti di Napoli, Firenze e Venezia; solo ai primi di novembre quelli del duca di Milano. Le discussioni furono del tutto inconcludenti.
La situazione cambiò qualche mese dopo, nel 1454, quando al tavolo di pace non si sedettero Niccolò e Alfonso d'Aragona ma l'agostiniano, Simone da Camerino, inviato in segreto a Milano dai Veneziani. A conoscenza della trattativa era Cosimo de' Medici, preoccupato dall'insofferenza dei Fiorentini per le forti tassazioni legate alle spese di guerra, la stessa preoccupazione che spingeva Venezia e Milano a trattare.
L'accordo fu raggiunto a Lodi il 9 aprile 1454.
Il più vistoso squilibrio della Lega fu proprio quello successivo all’adesione del Re di Napoli.
Come già in passato con Eugenio IV in seguito ai patti del 1443, così ora con Niccolò V, il re Alfonso non rinunciò al ruolo di alto protettore della Chiesa. In tale ruolo era implicita una volontà di controllo o addirittura una minaccia verso il papato stesso.
La Lega si era costituita in base a spinte diverse, che così possono essere riassunte:
Il bisogno di Venezia di assicurarsi le spalle dal nascente conflitto contro l’espansionismo Turco, e al tempo stesso legittimare le recenti conquiste in Terra-ferma.
Il bisogno di Francesco Sforza di trovare una parziale legittimazione al recente titolo ducale.
La necessità del regime mediceo di non smarrire il patto con lo Sforza.
Il bisogno di Alfonso di trovare una collocazione nel sistema politico italiano, a garanzia contro le rivendicazioni franco-angioine, ma anche come copertura nei suoi alterni rapporti con il papato.
Il papato che si riservava gradualmente sempre più ampi spazi di manovra per far valere la propria sovranità sugli stati della Chiesa.
Fondamentale fu, inoltre, per tutti i contraenti la clausola della “difesa degli stati”, vale a dire l’impegno a sostenere i rispettivi regimi interni o quanto meno a non interferirvi.
Negli anni immediatamente successivi alla creazione della Lega italica vi furono indubbi segnali di un effettivo desiderio di pace tra gli Stati italiani, e di un impegno concertato contro l'intervento straniero. Ciò si manifestò concretamente nella richiesta di aiuto di Milano e del Papato a Ferrante d’Aragona per consolidare la propria ereditarietà sul Regno di Napoli, a difesa delle mire Francesi, usciti trionfatori dalla Guerra dei Cent’anni.
Tuttavia, motivi di crisi già impliciti nel trattato del 1454-55, non mancarono di manifestarsi:
Innanzitutto, la cessione di Genova alla Francia, poi seguita nel 1463-64, dalla concessione in feudo, da parte di Luigi XI, di Genova e Savona al duca di Milano. In tal modo lo Sforza si legava al re di Francia con un’obbligazione sicuramente non compatibile con il dettato della Lega. Prezzo reale dell’investitura su Genova era l’impegno del Duca di Milano a farsi garante della fedeltà dei duchi di Savoia al re di Francia, implicandolo pericolosamente nei conflitti transalpini e stimolandone le mire espansionistiche, in modo ancora più incompatibile con la colleganza italiana. Dobbiamo sottolineare, come faremo più tardi, che Cosimo de Medici ne ebbe viva consapevolezza, e vagheggiò, in cambio dell’appoggio alla politica francese dello Sforza, compensi territoriali per Firenze.
Un elemento di grande criticità, inoltre, fu l’avvento al pontificato di Paolo II, nel 1464. Questo pontefice, infatti, impresse nuovo vigore alla politica romana atta a riaffermare l’autorità e la sovranità della Chiesa sul Patrimonium. Il rafforzamento dei territori vicini, lungo l’articolato confine che divideva Roma da Napoli e da Firenze, unitamente agli interessi romagnoli del pontefice, favoriva un avvicinamento tra Ferrante, Cosimo e successivamente Piero de’Medici in funzione anti-papale.
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