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Natuzza Evolo, la mistica di Paravati

Un culto “altro” rispetto al cattolicesimo ufficiale


Rubrica di Antropologia


di Federica Di Mascio


Esistono culti definiti “extra-liturgici”, ovvero divergenti dal cattolicesimo ufficiale e legati a persone dotate di particolare carisma e addirittura ritenute sante. Questi culti, di fatto, hanno la stessa funzione di quelli liturgici ufficiali perché i fedeli si comportano proprio come se si recassero ad un santuario e sono mossi dagli stessi meccanismi psico-sociali e dal medesimo bisogno rassicurazione per affrontare i problemi legati all’esistenza quotidiana.

Natuzza Evolo è stata una veggente e mistica, ritenuta “scelta” da Dio a ragione non soltanto delle sue visioni, ma anche per le frequenti essudazioni ematiche che riproducevano scritti e figure religiose. Fortunata Evolo, questo il suo nome, nacque nel 1924 a Paravati, un piccolo centro rurale calabrese, e crebbe in un ambiente familiare disagiato, tra fame e miseria e senza ricevere la minima istruzione scolastica o religiosa.

Fin da ragazzina si ritrovò ad essere protagonista di strani fenomeni di psicometria e telecinesi, oltre a visioni mistiche e frequenti comunicazioni con i defunti.

Intorno al 1950, con l’intensificarsi dei fenomeni medianici, la casa di Natuzza iniziò ad essere meta di veri e propri pellegrinaggi per i numerosi gruppi di devoti che si recavano da lei per chiedere consigli su problemi di vario genere, ma principalmente di carattere medico. La donna, infatti, riceveva risposte e messaggi dal suo “Angelo Custode” ed era in grado di fornire vere e proprie diagnosi, utilizzando una terminologia specifica utilizzata in ambito medico. Oltre a questo, Natuzza era in grado di vedere i defunti e di comunicare con loro, divenendo un vero e proprio strumento di contatto tra i vivi e i morti, che potevano così fornire ai parenti e agli amici notizie sulla loro esistenza ultraterrena.

La sua attività venne scoraggiata dal clero locale, ma la donna continuò a vedere i trapassati ( che le apparivano tutti i giorni tranne il venerdì e purché fossero trascorsi quaranta giorni dal decesso ) che le affidavano messaggi per i familiari viventi e rispondevano alle domande poste da Natuzza a nome di questi ultimi. La Evolo riceveva anche messaggi da Gesù, dalla Vergine Maria, da Padre Pio e da altri Santi, e gli elementi ricorrenti di tali comunicazioni erano sempre la sofferenza e il dolore da offrire come sacrificio a Dio e la richiesta di amare e servire il prossimo. Natuzza era parte organica della cultura contadina e popolare di cui faceva parte, e ne interpretava fedelmente i valori e le necessità; in lei si proiettava soprattutto l’esigenza di ristabilire un legame ed un contatto con i propri cari defunti. La Evolo, dunque, si poneva in maniera ricettiva rispetto ai dolori, alle preoccupazioni e alle ansie dei devoti che si rivolgevano a lei, e in questo modo il dolore trovava una sua legittimazione e uno spazio culturalmente previsto in cui poteva essere affrontato.

Per concludere, il culto rivolto a Natuzza risultava “altro” perché contrapposto ai culti e ai comportamenti proposti dal cattolicesimo ufficiale, ma la donna agiva in nome della vita rendendo possibile una relazione tra i vivi e i morti; in un certo senso, quindi, andando a superare e trascendere la morte stessa e il silenzio che ne consegue. Natuzza Evolo, perciò, grazie ad un dialogo prolungato oltre la morte, dava la parola a chi non l’aveva più, i morti, e a chi forse non l’aveva mai avuta, i vivi che a lei si rivolgevano.



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